2014 - febbraio - Pondicherry
Pondicherry Un sogno alsaziano
nell'India degli spiriti
PONDICHERRY Cn trompe-l'oeil nel Golfo
del Bengala, una visione nell'angolo più povero dell'India che
ancora porta i segni dello tsunami del 2004. Arrivando da
Chennai, attraversando il Tamil Nadu, oltre duecento chilometri
di strade fiancheggiate da alberi di tamarindo e casupole
fatiscenti ricoperte con foglie di palma divorate dai monsoni,
dopo aver attraversato villaggi di pescatori che stentano a
recuperare il loro habitat devastato dal maremoto, Pondicherry
risucchia il visitatore in un sogno creolo. Case in mattoni,
facciate bianche e ocra, persiane di legno, colonnati e balconi
finemente lavorati in stile coloniale, chiese cattoliche, negozi
e hotel de charme che sembra di stare in Alsazia o in Normandia.
Infine il lungomare: inquietante l'Oceano che incombe sulla
promenade, talmente minaccioso e roboante che sembra pronto a
esondare da un momento all'altro sull'asfalto e travolgere le
bancarelle allineate sulla sabbia dove mamme e bambini si
assiepano al tramonto per un succo di canna o un giocattolino,
mentre gli uomini si raccontano le loro storie in riva al mare,
il vocio cancellato dal fragore delle onde.
Poi, quando a notte fonda torna la bonaccia, si capisce che l'Oceanoè
tutt'uno con Pondicherry, è il Mississippi di questa stravagante
New Orleans, il tesoro meglio custodito del triangolo
meridionale del Subcontinente. È un minuscolo avamposto che i
francesi si contesero aspramente con olandesi e inglesi nel XVII
secolo per poi utilizzare come scalo secondario verso
l'Indocina; un puntino invisibile nella carta delle colonie che
tuttavia ancora evoca profumi e suggestioni esotici (la maison
Dior le ha racchiuse in una fragranza raffinata, Escale à
Pondichéry: tè nero, essenza di cardamone legno di sandalo,
assoluta di gelsomino sambac).
Il contingente francese, nella città di un milione di abitanti
(un numero da paesotto se paragonato alla densità delle
metropoli indiane) che è rimasta un protettorato fino al 1954, è
esiguo ma ben visibile: anziane coppie della generazione di
Marguerite Duras che passeggiano nelle vie ombrose del centro o
spuntano dai cancelli delle deliziose villette con giardino che
una fitta vegetazione protegge dagli sguardi dei passanti;
giovani e meno giovani che hanno scelto Pondicherry per aprire
piccole attività commerciali e vivere una vita al riparo degli
stress occidentali; famiglie di funzionari che decisero di
restare quando la Francia perse il controllo di questi
territori. Il fatto sorprendente è che le due culture vivono in
armonia: i boulevard con i caffè moderni (Le Space) e i boutique
hotel (Hotel Promenade) dove si sorseggia l'aperitivo cullati
dalla stessa musica lounge dell'Hotel Costes o del Buddha Bar;
la cultura tamil che esplode dalle gallerie (Aurodhan Gallery),
dai musei (Pondicherry Museum), intorno ai templi dove
un'elefantessa benedice i fedeli con un tocco delicato della
proboscide sul capo in cambio di una piccola mancia al custode;
la Chiesa del Sacro Cuore; l'ashram di Sri
Aurobindo, filosofo e mistico indiano originario di
Calcutta e morto a Pondicherry nel 1950, considerato dai suoi
discepoli un avatar, incarnazione dell'Assoluto; il giardino
botanico dovei coloni piantarono novecento specie vegetali, oggi
meeting point per famiglie indiane.
Il carisma di Aurobindo ha trasformato Pondicherry in una meta
spirituale oltre che turistica, e forse non è un caso che la sua
vicenda si sia intrecciata con quella di una francese, Mirra
Alfassa (Parigi 1878-Pondicherry 1973), conosciuta come La Mère,
pianista e scrittrice spintaa viaggiare dall'interesse per
l'occultismo e l'evoluzione interiore che visitò l'India e fece
la conoscenza
di Aurobindo nel 1914. E dal 1926 fu per quasi mezzo secolo la
guardiana dell'ashram del mistico bengalese e l'esecutrice delle
sue volontà, compresa la costruzione, a partire dal 1968, di
Auroville, la città della pace e
dell'armonia che sorge a una decina di chilometri da Pondicherry
e richiama ogni anno migliaia di visitatori ( La Mère e
Aurobindo sono sepolti nel Samadhi, il mausoleo sempre ricoperto
di fiori freschi, affollato da discepoli e meditanti). La visita
all'ashram è istruttiva anche per chi è digiuno di dottrine
orientali, un punto d'incontro per giovani di ogni nazionalità;
la libreria dispone di un'ottima selezione degli scritti di
Aurobindo e della Mère; la stanza in cui il mistico si ritirò il
24 novembre del 1926 senza più uscirne (un quarto di secolo) per
concentrarsi sul suo «vero lavoro» («Non è contro il governo
britannico che ora devo battermi, questo chiunque può farlo, ma
contro l'intera natura universale») è il sancta sanctorum del
piccolo edificio. Fuori
dalla dimensione spirituale, Pondicherry è perfettamente in
bilico tra due mondi, un equilibrio che si realizza anche in una
stuzzicante fusion culinaria. Raffinatamente tamil, esoticamente
francese.
La REPUBBLICA 4 dicembre 2013
GIUSEPPE VIDETTI